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Il criterio di valutazione delle quote sociali

L'art. 16 del d.lgs. n. 346/1990 (Testo unico imposte di successione e donazioni) dispone che la base imponibile delle quote societarie non iscritte in borsa sia rappresentata dal patrimonio netto della società, il quale è agevolmente ricavabile dal bilancio societario, sotto la voce "Stato patrimoniale", "Totale patrimonio netto".

Un'ulteriore indicazione quanto al valore della società viene poi data dall'art. 2473 c.c., già richiamato per il recesso del socio, il quale stabilisce che i soci che recedono hanno diritto al rimborso della propria partecipazione in proporzione al patrimonio sociale, determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso.

In caso di disaccordo tra le parti la determinazione del valore avverrebbe tramite relazione giurata di un esperto nominato dal Tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente. La valutazione avviene ai sensi dell'art. 1349 c.c. con equo apprezzamento, ossia con criteri arbitrariamente scelti dal consulente tecnico d'ufficio.

La medesima procedura di calcolo prevista per il recesso verrebbe in ogni caso  applicata anche in caso di esclusione del socio, nelle rare ipotesi in cui è possibile.

Pur in assenza di un preciso criterio legislativo di valutazione della quota sociale possiamo trarre delle conclusioni.

Per meglio comprendere le modalità di valutazione della quota è necessario ricordare che l'art. 16 d.lgs. 346/1990 precisa che, per il calcolo delle tasse da pagare, l'importo su cui determinare la tassazione è rappresentato dal patrimonio netto. 

L'art. 2473 c.c. aggiunge tuttavia un criterio arbitrario di valutazione delle quote sociali, specificando che il valore viene attribuito da un CTU (certamente un ragioniere contabile o un commercialista) sulla base del valore di mercato della quota.

E' un criterio evidentemente pericoloso in quanto un estraneo si troverebbe a valutare la società tenendo conto non solo del valore certo del patrimonio netto (che risulta chiaramente dal bilancio annuale), ma facendo anche una valutazione sullo stato di salute della società, con il concreto rischio che aumenti o diminuisca il valore delle quote sulla base delle previsioni dell'andamento societario negli anni successivi, delle riserve accantonate, delle immobilizzazioni, dei crediti e dei debiti, … Si tratta peraltro di una valutazione non impugnabile, a meno che non sia manifestatamente iniqua.

Il valore di mercato può essere quantificato in questi tre differenti modi che partono tutti dall'utilizzo del dato del patrimonio netto, per poi applicarvi delle ulteriori valutazioni più o meno complesse.

1- Il metodo patrimoniale semplice mira a calcolare il valore economico della società prendendo in considerazione la sommatoria dei seguenti valori:

  • patrimonio netto contabile (differenza tra attivo e passivo);
  • rettifiche di valore dei beni che compongono il patrimonio aziendale;
  • carico fiscale latente (cioè imposte differite e solo potenziali, calcolate secondo la normativa vigente, legate alla rettifica dei valori del complesso aziendale e alla emersione, dunque, di eventuali plusvalenze

2- Il metodo reddituale che esprime il valore dell'azienda sulla base delle prospettive reddituali del complesso aziendale e cioè sul reddito attualizzato con riferimento alla presunta durata del reddito al tasso di interesse.

3- Il metodo patrimoniale complesso (o misto) invece, calcola il patrimonio netto rettificato prendendo in esame non solo i beni materiali dell'azienda, ma anche i beni immateriali della stessa (cd. intangibles, logo, marchio, insegne, idee pubblicitarie, grafica, idee promozionali, pubbliche relazioni, segreti industriali, know how, design, styling, software, brevetti) e pertanto:

  • patrimonio netto contabile (differenza tra attivo e passivo);
  • rettifiche di valore dei beni che compongono il patrimonio aziendale;
  • carico fiscale latente;
  • intangibles.

Sulla valutazione della quota di ciascun socio non incide l'assenteismo o il disinteresse prolungato del medesimo socio, né il maggior impegno di un altro.

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Il socio non può imporre né la valutazione secondo il patrimonio netto, né ulteriori criteri di aggiustamento. Molto più semplicemente c'è una domanda ed un'offerta.

In astratto non si può escludere che, in assenza di accordo, il socio chieda al Tribunale un mero accertamento del valore della quota, a proprie spese, ma ciò sarebbe antieconomico e poco utile in quanto le risultanze non sarebbero vincolanti per gli altri soci.